Futurismo a Milano 01/03/2009


Dopo l’eccellente mostra dei neo-impressionisti e del superbo Magritte il palazzo reale offre un altra esposizione di livello internazionale: una panoramica sul movimento artistico e culturale d’avanguardia che influenzò la vita sociale di buona parte dell’inizio del novecento (dai primi anni 10 sino alla fine degli anni 30).
Se già la mostra su Bacon mi aveva impressionato per la grande quantità di opere portate nel cuore di Milano, e se di Magritte è stato (ed è tuttore, dato che la mostra continua fino al 29 marzo) possibile ammirare i migliori capolavori, col Futurismo il comune di Milano ha superato se stesso.
La mostra mi ha impressionato per la quantità di opere e per l’ottimo percorso che illustra le varie fasi del futurismo, da quelle embrionali della dei primi del 900 sino alle ultime evoluzioni artistiche.
Ma ciancio alle bande e via col resoconto della giornata e con una piccola digressione sulle varie fasi del futurismo, il tutto condito con qualche foto presa dalla rete (ahimè non è possibile scattare foto all’interno del palazzo Reale).
Dopo una lunga coda sotto la pioggia, che dall’entrata del palazzo arriva praticamente sino al sinistro del Duomo!? finalmente si viene accolti dalla luce tenue del Museo.
La prima sala spiega brevemente cioò che viene mostrato nelle sale più avanti, (ben 55 se non erro).
Prima di passare al futurismo vero e proprio si viene introdotti a una sala con le opere di alcuni pittori italiani divisionisti, sopratutto milanesi, come Umberto Boccioni , Carlo Carrà, Giacomo Balla, Gino Severini e Luigi Russolo.
Le opere dei divisionisti sono molto particolare. Sul finire dell’800 questa tecnica pittorica si avvalse degli allora scientifici studi sulla teoria del colore. Al pari del pointillismo (e quindi di ispirazione anche impressionista o scapigliata) il divisionismo cerca di ottenere la massima luminosità accostando tracce e segni di colori complementari. Non solo, ma la caratteristica fondamentale è che se viste da vicino le macchie di colori non hanno nessuna forma; solo allontanandosi la retina dell’occhio dell’osservatore riesce a ricomporre le macchie di colori che in realtà formano il quadro.